Un brano di Bruno Tognolini tratto da "Leggimi forte"
Quando si legge un libro a un bambino, la voce è la storia: dà corpo alla storia, la riempie, come l’acqua riempie il letto del fiume. La voce è la storia come l’acqua è il fiume. Leggendo a mia figlia, dopo un po’ d’esperienza, la sentivo nascere e fluire dal libro, da me, fra noi, quella che chiamavo in segreto la Voce Fiume.
È una voce che s’infiltra nella storia e scorre docile dentro di lei, gira serena nelle anse delle frasi, frulla nei gorghi delle esclamazioni, si allarga nei laghi delle descrizioni, spumeggia nelle rapide dei dialoghi: insomma, è un bel fiume che va.
E attenzione, non sto parlando di "leggere bene", di dizione corretta e interpretazione brillante: io non ne ero e non ne sono capace. Son stato addirittura balbuziente, e spesso mi accade ancora d’incespicare: passetti di danza, oramai, che mia figlia dall’inizio ha sempre accolto – almeno così m’immagino – come una buffa natura di quel fiume. No, la Voce Fiume non ha niente a che fare con la buona dizione. La Voce Fiume è una voce personale, che può ben essere nasale, piatta, chioccia, colorita da cantate dialettali, da erre mosce e vizi e vezzi di pronuncia. Ma è la voce nostra, quella che c’è toccata in sorte, unica e irripetibile. Che già da sola per quel bambino è la voce migliore del mondo, quella che l’ha chiamato nell’umano: ma che ora ha raddoppiato la sua forza, perché ha trovato l’accordo armonioso con la voce scritta e zitta di quel libro.
Qualche altra sera questo, però, non accadeva. Qualcosa girava storto, non so cosa: si rallentava, si cominciava a faticare, ci si scuoteva, si riprendeva lena… Ma non c’era niente da fare: in breve s’era già dentro la Voce Pietraia.
Lì il testo diventa di colpo un’arida landa, dove tutto sembra opporsi al cammino: la voce s’impiglia in creste di frasi irte, inciampa in ciottoli sporgenti di parole, scivola in buche di esclamazioni impronunziabili, si trascina, zoppica, stenta, diventa afona e piatta.
Che la lettura fosse Fiume o Pietraia dipendeva forse dal libro, forse dalla voce, ma forse ancor più da come i due si incontravano. Era importante lo stile dell’autore, il vigore della storia, e magari una buona traduzione; ma era importante anche l’umore del lettore, il grado d’accoglienza quella sera, la disposizione a lasciarsi andare alla corrente del testo. Ho sperimentato più volte che un piccolo sforzo, certe sere, un atto consapevole di resa, di abbandono all’andamento delle frasi, senza più opporre resistenza o peso, poteva far ritrovare nella Pietraia il rivolo d’acqua d’una frase più sciolta, che magari a seguirlo ingrossava, diveniva ruscello: e alla fine ecco il Fiume che torna.
Altre volte invece no, non c’era traccia di bel flusso scivolante per pagine e pagine. E allora arrancavo fino alla tappa abituale della sera, e concludevo irritato col libro, con l’autore, con me stesso, e se non stavo attento anche con l’incolpevole ascoltatrice. La quale si suppone dividesse con me la fatica di quella Pietraia: ma non è affatto detto. Certe storie son così ben costruite, o certe sere l’ascoltatrice era così avida, che contro ogni aspettativa, sul bordo a gran fatica conquistato di un’irta Pietraia, aveva il coraggio di uscirsene col solito: "Ancora!"
Ma fosse Fiume o Pietraia, la voce diceva altre cose, che in nessun libro – o forse in tutti – erano scritte. Confusa infine nel sonno, in un fondo segreto e lontano che viene prima e dopo le parole, la voce è nenia, rosario, preghiera, riepilogo e riconferma del mondo. E ultimo conforto e commiato, paterno ed umano, sulle porte mai sicure della notte
(Bruno Tognolini)