la bisnonna di Matteo e Matilde
Inviato: 19 giu 2008, 13:40
Sono la bisnonna di Matteo e Matilde, io ci sono ancora, il mio cuore batte e la mia mente è volata nel passato lontano. Da quando è volata nel passato, chiamo tutti Matilde. La mamma di Matilde pensa che sia un segno, un passaggio di consegne o una specie di reincarnazione (ma io mica sono morta!).
Sono nata nel 1911, cresciuta in una cascina in mezzo ai campi e il mio dolcissimo papà allevava tori e coltivava i suoi campi a granoturco, seguendo le stagioni. Mi ha regalato una giovinezza da favola, accudiva le sue donne (eh, già tutte femmine in famiglia) come le sue regine, a me a mia sorella diceva sempre che eravamo le sue rose di campo (il suo fiore preferito). Tutte le domeniche, estate e inverno, ci portava in paese col vestito nuovo e le scarpe belle, ci prendeva in braccio sulla porta di casa e ci sedeva sul calesse, perché non ci sporcassimo nel fango o nella polvere dell’aia. Le estati erano lunghe e calde, portavamo i vestiti di cotone da aprile a ottobre. Gli inverni gelidi, i pupazzi di neve che io e mia sorella facevamo nell’aia si scioglievano a fine marzo.
A 18 anni ho sposato un uomo bellissimo, che faceva il geometra, amava i cavalli e aveva un carattere bizzarro. Lui voleva un figlio solo e maschio. A 19 anni ho avuto la mia prima figlia femmina, che è volata in cielo a 11 anni. Mio marito allora disse: facciamo un altro figlio. A 30 anni ho avuto la mia seconda figlia femmina, che è volata in cielo dopo pochi giorni. Mio marito allora disse: facciamo un altro figlio. A 32 anni ho avuto la mia terza figlia femmina. E mio marito era partito per la guerra, da cui non è mai tornato. Ho partorito con una levatrice, la mia mamma e il mio dolcissimo papà, il dottore del paese non c’era, abitava dopo il ponte sul fiume e il ponte era stato distrutto perché c’era la guerra.
A 34 anni ero sola con una bambina di due anni e avevo respirato morte per troppi anni. Allora ho radunato intorno a me tutta la mia famiglia, che era una piccolo regno al femminile (fatto di nonne e zie zitelle, che cucinavano, ricamavano, facevano la maglia e dipingevano quadri) - l’unico uomo era sempre il mio dolcissimo papà - per far crescere questa mia sola figlia senza l’alito della morte. Ho vietato a tutte le donne di casa di parlare della guerra, della morte e del passato, si doveva solo guardare al futuro e parlare di quello che sarà. Abbiamo cresciuto questa figlia dicendole che doveva studiare e lavorare, che non doveva dipendere da un uomo, anzi che non doveva dipendere proprio da nessuno, che la libertà non aveva prezzo, che bisognava solo guardare al futuro, al paese che si stava costruendo e alle opportunità che bisognava trovarci.
Ho amato questa sola figlia con tutta me stessa, ho amato i suoi figli sopra ogni cosa e ho amato i figli dei suoi figli più di quanto avessi amato tutti gli altri (perché figli 3 volte, dicevo sempre).
Quando ancora la mia mente viveva nel presente, parlavo con mia nipote del futuro, del futuro suo e del mondo, raccontavo poco del passato, tutto quello che le ho raccontato è scritto qua.
Nonna Ebe Rita, simpaticissima e dal carettere indomito.
Sono nata nel 1911, cresciuta in una cascina in mezzo ai campi e il mio dolcissimo papà allevava tori e coltivava i suoi campi a granoturco, seguendo le stagioni. Mi ha regalato una giovinezza da favola, accudiva le sue donne (eh, già tutte femmine in famiglia) come le sue regine, a me a mia sorella diceva sempre che eravamo le sue rose di campo (il suo fiore preferito). Tutte le domeniche, estate e inverno, ci portava in paese col vestito nuovo e le scarpe belle, ci prendeva in braccio sulla porta di casa e ci sedeva sul calesse, perché non ci sporcassimo nel fango o nella polvere dell’aia. Le estati erano lunghe e calde, portavamo i vestiti di cotone da aprile a ottobre. Gli inverni gelidi, i pupazzi di neve che io e mia sorella facevamo nell’aia si scioglievano a fine marzo.
A 18 anni ho sposato un uomo bellissimo, che faceva il geometra, amava i cavalli e aveva un carattere bizzarro. Lui voleva un figlio solo e maschio. A 19 anni ho avuto la mia prima figlia femmina, che è volata in cielo a 11 anni. Mio marito allora disse: facciamo un altro figlio. A 30 anni ho avuto la mia seconda figlia femmina, che è volata in cielo dopo pochi giorni. Mio marito allora disse: facciamo un altro figlio. A 32 anni ho avuto la mia terza figlia femmina. E mio marito era partito per la guerra, da cui non è mai tornato. Ho partorito con una levatrice, la mia mamma e il mio dolcissimo papà, il dottore del paese non c’era, abitava dopo il ponte sul fiume e il ponte era stato distrutto perché c’era la guerra.
A 34 anni ero sola con una bambina di due anni e avevo respirato morte per troppi anni. Allora ho radunato intorno a me tutta la mia famiglia, che era una piccolo regno al femminile (fatto di nonne e zie zitelle, che cucinavano, ricamavano, facevano la maglia e dipingevano quadri) - l’unico uomo era sempre il mio dolcissimo papà - per far crescere questa mia sola figlia senza l’alito della morte. Ho vietato a tutte le donne di casa di parlare della guerra, della morte e del passato, si doveva solo guardare al futuro e parlare di quello che sarà. Abbiamo cresciuto questa figlia dicendole che doveva studiare e lavorare, che non doveva dipendere da un uomo, anzi che non doveva dipendere proprio da nessuno, che la libertà non aveva prezzo, che bisognava solo guardare al futuro, al paese che si stava costruendo e alle opportunità che bisognava trovarci.
Ho amato questa sola figlia con tutta me stessa, ho amato i suoi figli sopra ogni cosa e ho amato i figli dei suoi figli più di quanto avessi amato tutti gli altri (perché figli 3 volte, dicevo sempre).
Quando ancora la mia mente viveva nel presente, parlavo con mia nipote del futuro, del futuro suo e del mondo, raccontavo poco del passato, tutto quello che le ho raccontato è scritto qua.
Nonna Ebe Rita, simpaticissima e dal carettere indomito.